Siddharta – di Hermann Hesse

La Biblioteca di Repubblica
Bibliotex 2002
Formato 12×21 pgg.128
Copertina cartonata telata con sovraccoperta
ISBN 9770390107900

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Hesse Hermann

In tanti hanno provato a spiegare l’incessante e incontenibile successo di Siddharta; attribuendone via via le ragioni alla riscoperta dell’Oriente, alla contestazione giovanile, alla rinascita buddhista, al rifiuto dell’utilitarismo occidentale, al neomisticismo e a quant’altro. Fatto sta che le mode passano, le generazioni si succedono, e il romanzo più famoso di Hermann Hesse è sempre lì, in testa alle classifiche italiane dei longseller. Da quasi trent’anni; che diventano quaranta, se si va indietro fino al primo trionfo in terra americana.
In quest’arco di tempo la scena del mondo è cambiata a tal punto da offuscare i ricordi di quel lontano passato, e i ragazzi di oggi (ammesso e non concesso che il romanzo di Hesse sia soltanto un romanzo «per giovani») sembrano avere poco da spartire con gli hippies e i figli di fiori. Eppure Siddharta è ancora, per molti, il compagno ideale con cui iniziare il proprio cammino nell’esistenza. Ché proprio questo è il primo, indiscutibile tratto del libro: la ricerca, il viaggio, l’inesausta perlustrazione del mondo da parte da un uomo in cerca di se stesso.
Siamo nell’India del sesto secolo avanti Cristo, in un universo brulicante di veggenti ed eremiti, profeti e monaci mendicanti. Il protagonista, Siddharta appunto, è il figlio modello di un bramino; ma quella quotidianetà familiare scandita da riti, sacrifici, abluzioni e letture di testi sacri, gli procura un’insoddisfazione crescente. Troppi interrogativi lo angustiano, un’inesauribile sete di sapere lo muove: deve a tutti i costi scoprire «la fonte originaria nel proprio Io», per potersene finalmente impadronire. E così, accompagnato dall’amico Govinda, lascia la casa paterna accodandosi a un gruppo di Samana (asceti girovaghi). Ma anche le loro inflessibili pratiche di spersonalizzazione lo lasciano perplesso: uccisi i sensi, cancellata la memoria, l’Io torna ugualmente a galla riproponendo i problemi di sempre. Ragion per cui il ragazzo si rimette in cammino fino a che incontra il Buddha, l’Illuminato; il Santo che ha superato il dolore e fermato la ruota delle rinascite. Siddharta ne subisce l’enorme fascino, ma ormai è convinto che non bisogna seguire nessuna dottrina, neanche la più logica e chiara e soave. Bisogna soltanto fare esperienza di sé: e così incontra una donna, la cortigiana Kamala, che lo introduce ai piaceri dell’amore; e un mercante, Kamaswami, che gli spiana la strada della ricchezza.
Nei lunghi anni di ascesi Siddharta ha appreso «a digiunare, aspettare e pensare»; e questo tris, adesso, gli apre inaspettatamente tutte le porte della vita mondana. Ma il lusso e l’eros e il potere progressivamente spengono e mortificano e disgustano l’anima dell’ «uomo che cerca», il quale ritorna al fiume e al barcaiolo Vasudeva, un uomo semplice e saggio, che lo invita ad ascoltare la suprema verità comunicata dal corso d’acqua: «nulla fu, nulla sarà tutto è, tutto ha realtà e presenza». Il tempo causa principale dei nostri inutili affanni non esiste; è sufficiente predisporsi verso la totalità della vita con animo aperto e tranquillo per respirare l’unità dell’universo, per riconoscere l’indistruttibilità di ogni esistenza, l’eternità di ogni istante. Per capire che il «senso» è la cosa stessa.
Siddharta, ora, può accettare serenamente la morte di Kamala e soprattutto che il figlio avuto da lei lo abbandoni, così come un giorno lui ha abbandonato il padre: «Sul suo volto fioriva la serenità del sapere, cui più non contrasta alcuna volontà, il sapere che conosce la perfezione, che è in accordo con il fiume del divenire, con la corrente della vita, un sapere che è pieno di compassione e simpatia, docile al flusso degli eventi, aderente all’Unità»
Forse il merito (e la fortuna) di Hesse sta proprio qui. Nell’aver scritto un romanzo che affronta coraggiosamente le opzioni decisive dell’esistenza desiderio e rinuncia, attaccamento e distacco, esperienza ed ascesi, assoluto e relativo offrendole al lettore in modo semplice e seducente. Pescando sì nel pensiero buddhista, ma piegandolo al proprio disegno narrativo e alla propria visione del mondo. Perché il Siddharta di Hesse parla la lingua d’Oriente, ma come gli altri eroi vagabondi dei suoi romanzi è pur sempre figlio dell’Occidente.

(29 gennaio 2002)

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