Vizi privati, pubbliche virtù – di Miklos Jancsò – I Classici Proibiti

L’Espresso Cinema 1975
Genere erotico, drammatico, storico.
Cassetta VHS con custodia
Durata 90′

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Vizi privati, pubbliche virtù è un film del 1976 diretto dal regista ungherese Miklós Jancsó.

L’arciduca Rodolfo d’Asburgo, erede al trono imperiale, contesta il potere del padre Francesco Giuseppe: impossibilitato a farlo scendendo sul suo stesso terreno, il Delfino decide di mettere in questione se stesso, ridicolizzando il proprio ruolo di futuro imperatore.
Nel giardino d’una splendida residenza di campagna l’arciduca, che ha una relazione incestuosa con la sorellastra Sofia e il fratellastro, figli naturali di suo padre e della moglie d’un ministro, balla nudo al suono dell’orchestra militare, sfila la biancheria intima alla moglie addormentata mostrando alla servitù l’emblema imperiale che v’è ricamato, fa urinare la nutrice, con la quale ha un rapporto d’aperta intimità, nel cappello di paglia della donna. La moglie, l’ottusa e detestata Stéphanie, impostagli dal padre, viene fatta partire per la capitale.
L’imperatore invia un generale a riferirgli di presentarsi a corte, ma l’ufficiale viene cacciato e fatto inseguire dai cani. L’arciduca fa versare una polverina afrodisiaca nelle bevande, così le cortigiane, le duchesse e le baronesse s’abbandonano a un’interminabile danza, spogliandosi gradatamente fino a rimanere nude insieme ai ragazzi d’un circo fatto chiamare appositamente. Lo scopo è realizzare una fotografia dell’orgia da fare circolare per rendere pubblico lo scandalo. Durante il festino, l’arciduca si proclama imperatore, mentre ritratti del sovrano e maschere con l’effigie sono dileggiati e oltraggiati.
Il generale – che era il sadico istitutore dell’arciduca nel collegio militare – ritorna e vede quanto sta accadendo, ma gli amici dell’arciduca lo catturano e lo costringono a una punizione: dovrà farsi possedere da Mary, amante dell’arciduca, che l’ha proclamata imperatrice, in apparenza una bellissima ragazza, ma in realtà un ermafrodito.
La risposta del padre a tanta depravazione non si fa attendere: la villa viene presidiata da soldati e giunge un ministro, padre putativo della sorellastra e del fratellastro dell’arciduca, per un ultimo tentativo di ricondurre quest’ultimo alla ragione e salvare almeno la vita di coloro che ha riconosciuto come figli. Rodolfo, allora, comincia a percepire che la fine s’avvicina e, congedata la servitù e datosi per matto, inizia un’ultima orgia con i più intimi amici: il duca, Sofia e Mary. La nutrice l’avvisa del pericolo, ammonendolo che, seppure non veda ancora validi motivi per essere ucciso, tuttavia v’è chi è pagato per inventarne.
All’alba, cinque uomini in uniforme, al comando del generale, entrano nel cortile in cui s’è consumata l’ultima notte di piacere e sparano ai quattro ribelli, uccidendoli. Solo il corpo di Rodolfo rimane disteso assieme a quello di Mary e le loro salme vengono composte. I cadaveri dei due fratellastri vengono invece fatti sparire; un prete annuncia il suicidio dell’erede al trono che, secondo la versione ufficiale, s’è tolto la vita dopo avere ucciso la donna amata che, per ragioni di Stato, non avrebbe mai potuto sposare. Mentre viene data lettura d’un falso biglietto di commiato, il carro funebre con le salme di Rodolfo e Mary s’allontana.

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