L’inglese in paradiso – di Curzio Malaparte

Edizione a cura di Enrico Falqui causa la morte dell’autore.
Vallecchi ed. 1962
Formato 12,5×18,5 Pgg 365
Copertina morbida con sovraccoperta stampata.

Libro in buono stato, senza parti mancanti o danneggiate. Pagine leggermente ingiallite ai bordi causa tempo, brossura editoriale morbida e leggermente ingiallita ai bordi ed al dorso, sovraccoperta con segni del tempo e con piccolo strappo in cima sul dorso.
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Curzio Malaparte

Curzio Malaparte, scrittore e giornalista controcorrente, fascista eretico, comunista scomodo, è stato amato da pochi e dai più considerato un opportunista. La verità è che, pur essendo tedesco di origine, Kurt Erich Suckert, nato a Prato, amava definirsi arcitaliano ed è stato un intellettuale di grande intuito e soprattutto indocile. Piero Gobetti lo definì la penna più forte del fascismo, Giuseppe Prezzolini lo disprezzava e Alberto Moravia lo considerava un amico. Di sicuro Malaparte amava lo scandalo come provocazione civile e affermazione del suo stile di vita. Dal 1953 fino al 1956 curò per il settimanale illustrato Tempo la rubrica Battibecco che ottenne un immediato ed inatteso successo fra i lettori da far raddoppiare le vendite del giornale.

L’inglese in paradiso è una raccolta di saggi di giornalismo letterario per il Corriere della sera dal 3 dicembre 1932 al 9 ottobre 1935. Dal 9 ottobre 1934 adottò lo pseudonimo Candido. Inoltre, sono proposte due operette inedite dello stesso periodo.
È l’ultima opera di Malaparte, rimasta incompiuta per la morte dell’autore.
Malaparte è talvolta afflitto da overstatement, ad esempio quando scrive in Minerva in bicicletta (1933, p. 52) ‘potessi tornare indietro di quindici anni, avere il mio appartamento in uno di questi collegi (Cambridge o Oxford) dall’architettura gotica’. Un lettore potrebbe replicare: “O Malaparte, tu che hai studiato al Cicognini e sei stato un coraggioso militare decorato, hai mai studiato seriamente l’inglese? Avevi titoli adeguati per essere ammesso a Cambridge o Oxford nel 1918? Li avresti potuti ottenere? E nel 1933 li avresti potuti ottenere? Non conta l’età. Contano i titoli”.
Nel rispetto della fedeltà all’Italia e all’eterosessualità sia di Malaparte sia di chi scrive, l’ironia su un’effeminatezza di radice giudaico-cristiana ne L’accento di Oxford (1935, p. 154) appare poco rispondente alle abitudini davvero virili di quel periodo: ‘L’accento di Oxford’ è un accento dell’anima, più che una particolare pronuncia. E l’anima, come tutti sanno, non ha sesso, specialmente in Inghilterra’. E concludevo, per mia consolazione, che la razza inglese è la più bianca di tutte, e che la voce dei figli d’Albione è la voce più bianca del mondo’. Ed anche la riflessione biologica conclusiva appare poco rispondente alla verità. Una ricerca genetica pubblicata nel 2006 dal biologo Sykes, professore dell’università di Oxford, mostra che i britannici (inclusi gli inglesi) sono in gran parte paleo-europei, imparentati con gli altri europei, ma meno strettamente di quanto celti, germanici, latini, slavi fossero imparentati tra loro (almeno nel passato). L’origine del popolo britannico è paleo-europea, ma la sua cultura è prevalentemente celtica e la sua lingua è prevalentemente germanica. Afflussi genetici celtici e germanici sono presenti nelle isole britanniche. A partire dalla bandiera, sappiamo che la Gran Bretagna è un’unione di due etnie e nazioni storiche: inglesi e scozzesi della Britannia e dell’Ulster. Ad essi potremmo aggiungere i gallesi e la minoranza irlandese dell’Ulster. Queste etnie sono unite da un’unica cultura, tanto che ancora oggi è lecito parlare di un popolo britannico che occupa l’intero arcipelago.

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